venerdì 30 agosto 2013

Il Cittadino Occasionale presenta: Lettera aperta a Daniela Santanchè

Daniela Santanchè, vi ho vista l'altra sera attraverso il mio apparecchio radiotelevisivo, eravate ospite di Luca Telese su La7. Mentre assistevo alla tenzone tra Voi e quella peperina della Serracchiani, nella mia mente di Cittadino Occasionale si sono formati alcuni pensieri, interrotti a tratti dai consigli per gli acquisti. Tuttavia non sono solito usare la mia mente, essa è per così dire nuova e contiene molto spazio; oltre a rimembrare prodotti di consumo, ho memoria delle vostre parole e di ciò che è accaduto davanti alla macchina da presa.
Per tale ragione conservo un vivido ricordo di ciò che ho pensato durante la trasmissione. È mia precisa volontà metterne a parte la Vostra persona, Daniela Santanchè, poiché grande è stata la mia partecipazione alla serata e non ritengo giusto tenere per me tutto ciò che avete suscitato.
In prima battuta, vi sono vicino. Vi sono vicino per vari motivi. La prima ragione è codesta: voi confliggete con fermezza e fiero cipiglio contro la realtà, non ne fate mistero, lo fate con orgoglio e pervicacia. Quanto mi si è stretto il cuore quando ripetevate i classici mantra del vostro credo, il Silvianesimo. Al solo sentir menzionare i dieci milioni di elettori, ohibò, cascommi una lagrima. Non è galanteria, badate bene, ma sincera ammirazione. Va da sé che essendo il Silvianesimo un culto religioso, non v'è traccia alcuna di logica nei suoi  dogmi fondanti. Vanno accettati per fede, non compresi; è bene ripeterli come preghiere, non sottoporli a fredda e cinica analisi intellettuale. La seconda ragione, di conseguenza, è la vostra risoluta aderenza al culto. Oh, quanto distanti sembrano i tempi del vostro critico allontanarsi dal sentiero del Cavaliere! Quanto prive di forza sembrano le parole che un tempo usaste contro di lui!



 
Ipse dixit

Ma è chiaro ormai che il cambiamento d'un tempo era solo momentanea crisi, e tutto è rientrato: con atto d'amore e profonda solidarietà, il Cavaliere vi ha riaccolta a braccia aperte, militate ora al suo fianco, impavida. Siete delle sue donne il modello, di ciò mi compiaccio.
Altra ragione è la vostra raffinata dialettica, ispirata, mai banale, non ripetitiva, ardita nella costruzione, forbita nell'architettura sintattica, ricca di contenuti, labirintica nel fuggire l'altrui offesa, speculativa, assertiva senza mai varcar il confine della cattiva condotta. Siete una fine oratrice, lasciate ch'io lo dica, e malcelo un virtuoso sentimento d'invdia. Potess'io aver cotanta lingua! Quanti screanzati potrei far tacer!
Motivo d'ammirazione si somma a motivo d'ammirazione: profonda è la vostra conoscenza del tessuto sociale, delle istituzioni, della magistratura, del governo, di leggi e Costituzione. Grande rispetto mostrate per l'avversario, giammai calcando la mano. Onore alle alte cariche dello stato, vi è miele in ogni vostra parola per loro. Quando parlavate di "braccio armato della sinistra", rivolgendovi ai magistrati, che gaudio essi avran provato, a sentir sì sperticate lodi al loro operato!
Silviana convinta, Daniela Santanchè non arrestate il passo neppur di fronte alla caduta del vostro ispiratore, mostrando orgogliosa l'appartenenza al gruppo. Che cosa sono, dico io, alcuni processi per far di un uomo un lestofante? Può, dico io, una sola condanna in cassazione mutar d'improvviso il sembiante di un angelo in quello di un dimonio? Invero, non può, voi lo sapete. E io lo so, grazie a voi. Avete tolto l'IMU, onorando il verbo del Silvianesimo. In voi ancor confido, nel vostro sembiante fisso, privo d'umane espressioni, così granitico e aderente alla causa da non tradir segno d'umanità alcuno.
Ultimo motivo d'ammirazione è quel che viene ora: altre sentenze van leste verso consumazione, una delle quali allude a una corte del Silvio e a libidinosi atti con giovini anche di minor età, concussione e altre orribil malefatte. Sappiamo qual ciarpame anche questi incartamenti contro il Silviano Ispirator contengano, eppure inevitabile pare che si giunga a una nuova prova. Un atto di fede ancor più grande dei precedenti. Appoggiar un uomo, mi si perdoni l'ardire, che promiscuo giaceva con meretrici in festini in maschera. Ma so già che non toglierete a Silvio l'appoggio vostro, e fino in fondo lo seguirete. Se vi sarà da battagliar, battaglierete. Se Silvio avea una corte, non sembri affatto cosa villana, voi la più splendente siete, la più fedele sua Cortigiana.

Con stima imperitura
Il Cittadino Occasionale

Lo Spettatore Occasionale presenta: Man of Steel



    Poniamo il caso che entriate per la prima volta in un cinema. Poniamo inoltre il caso che non sappiate chi sia Superman. Poniamo infine il caso che la frenesia non sia esattamente la cifra della vostra vita.
Bingo.
Benvenuti a Snyderlandia.
Qualche settimana fa, tipo a luglio, sono andato al cinema a vedere quest’uomo d’acciaio.
Man of Steel è un film notevolmente strano. Leviamoci subito l’incombenza principale di una recensione (o come volete chiamarla voi): la trama.
In un mondo lontano popolato da gente con l’assillo per l’ipertecnologia liquida, la vile inclinazione per il prosciugamento delle risorse naturali e un dubbio sentimento d’amore/odio per la fantascienza distopica in salsa Brave New World o 1984, un tizio con la barba scomunica un tizio senza barba per un tentativo di colpo di stato, spedisce il figlio sulla terra per salvarlo da morte certa (il pianeta lontano sta collassando causa utilizzo smodato delle risorse dello stesso), il figlio viene cresciuto da un tizio retrogrado senza barba, il figlio scopre di non essere figlio del tizio retrogrado senza barba (e la prende parecchio bene, bisogna dargliene atto) ma del tizio alieno con la barba, diventa Superman, fa conoscenza con una tizia che si innamora seduta stante di lui, combatte con il tizio senza barba del pianeta lontano (ora promosso a tizio con il pizzetto) e dopo aver demolito una città e causato (presumibilmente) migliaia di morti viene accolto come baluardo dell’umanità, mentre per mimetizzarsi tra gli esseri umani ha questa grandiosa idea di inforcare grossi occhiali che lo rendano irriconoscibile. 


Eppure io questo da qualche parte l'ho già visto... Dannati occhiali!

Il film è diviso in tre parti, come la Gallia. La prima parte su Krypton, la seconda sulla terra con la faticosa cavalcata di Clark verso la sua nuova identità, la terza sempre sulla terra (e un po’ anche in orbita) con scazzottate, palazzi che crollano, gente che strilla, agenti d’assicurazioni in debito d’ossigeno.
La prima parte presenta un mondo alieno incongruente (tecnologia millenni avanti alla nostra, i kryptoniani cavalcano draghi a quattro ali per spostarsi… un po’ come se gli abitanti di Tokyo domattina mandassero a fanc… le auto e riprendessero a girare in calesse) e una serie di eventi che definire frettolosa è un eufemismo. La seconda parte è lunga. Lunga sul serio. Con questo tizio che vaga e rimembra, vaga e rimembra, vaga e rimembra. E Kevin Costner che parla. E dice cose che non vorremmo sentire (e poi gli capita una cosa che, pur drammatica, fa ridere, ma tanto tanto). E dice cose che dovrebbero ispirare il figlio, ma alla faccia dell’ispirazione. ESEMPIO: Clark salva i bambini quando lo scuolabus sul quale viaggiano finisce in un fiume. Il padre gli dice: “Quante volte ne abbiamo già parlato? Non devi fare queste cose super”. Cioè, non devi salvare la vita a dei bambini, lascia che muoiano annegati, credimi, è meglio, quando sarai più grande capirai. No che non capirà. Non funziona così, Papà Kent. No. Non capirà mai.. Quando sarà più grande diventerà un serial killer, se avrà capito. Il proverbiale asino comunque casca nella terza parte. Dovremmo assistere a uno spettacolo esaltante, adrenalinico, visionario… E invece non facevo che guardare l’ora. 

Ok, ho capito, vengono giù i palazzi. Mobbasta veramente però.

È noioso. Scoppia questo, scoppia quello, ti meno, ti do un pugno, ti tiro una cosa addosso, ti lancio contro una casa, ti tiro addosso una cosa più grossa di prima, tipo un treno (true story).
Superman dovrebbe (se non ricordo male) essere un simbolo di giustizia, di correttezza, di alti ideali. Questo tizio fa saltare pompe di benzina in mezzo a un centro abitato, rade al suolo mezza metropoli, schianta qualunque cosa gli si pari innanzi per fermare un solo nemico.
E non si fa nemmeno una risata. 

Fai una risata appapà.



Siamo anni luce distanti da Donner, anni luce distanti da Whedon e, ahimé, anni luce distanti da Nolan; anche perché Superman non è Batman. E fargli fare un bagno di tragedia greca e introspezione (a parte in alcune sequenze, come per esempio quelle in cui viene mostrato il disagio che il mancato controllo dei super-sensi gli causa in tenerà età a scuola) non gli giova molto.
In conclusione, se siete amanti dei cinecomics e spettatori indulgenti, concedetegli una chance. In caso contrario,utilizzate il motto:

Grazie, ma no grazie.

ALTERNATIVE PASSATE E PRESENTI: Superman, regia di Richard Donner (1978) perché contiene un uomo in pigiama che salva il mondo (e anche parecchia ironia); The Avengers, di Joss Whedon (2012), perché contiene molti uomini in pigiama che salvano il mondo (senza prendersi maledettamente sul serio); The Dark Knight, regia di Cristopher Nolan (2009) , perché è Batman come se si trattasse di un mito affrontato da Sofocle e perché Heath Ledger ci ha lasciati troppo presto (e perché l’assenza di ironia è bilanciata da personaggi più spessi di una figurina Panini)

Modernità: effetti collaterali. The Asylum presenta: Sharknado, ovvero psicopatologia del cinema


La modernità offre svariati sistemi per procurarsi materiale video da gustare. Ci sono cinema, TV, Web TV, Youtube, Vimeo, distribuzioni indipendenti, film a basso costo, Direct To Video, e poi, alla fine, c’è la Asylum.
The Asylym, per essere precisi; prestigiosa (?) casa di produzione americana, specializzata nel realizzare film chiaramente copiati da blockbuster in uscita, distribuirli qualche giorno prima che i loro parenti ricchi raggiungano le sale e guadagnare soldi dalla vendita di DVD e dai diritti maturati con la messa in onda televisiva dei loro “capolavori”.
Qualche esempio? Nel 2007 esce Transformers, loro fanno uscire in DVD pochi giorni prima Transmorphers.
Poi sta per uscire Battle: Los Angeles, loro fanno uscire Battle OF Los Angeles (chiaro indice di genialità, quel OF).
A parte il mockbuster, si specializzano in film orribili di mostri e disastri. Roba tipo Mega Shark vs Giant Octopus, ovvero mostri realizzati male in CGI che si menano per due minuti in film che per il restante minutaggio sono peggio di una sessione di tortura. Mettono insieme uno script zoppicante, richiamano attori finiti nel dimenticatoio (uno su tutti Lorenzo “Renegade” Lamas) e il gioco è fatto.
All’inizio pensavo che non ci fosse del metodo nella follia che sta dietro alla scelta di chiamare la propria casa di produzione The Asylum (aka Il manicomio). Lo credevo, almeno. Non ne ero certo.
Poi però ho visto Sharknado e ho capito che c’è del metodo.

Un trailer non ha bisogno di molte parole

Sharknado (2013) è un prodotto indipendente commissionato alla Asylum dal canale tematico SyFy (non vi elenco titoli di suddetto canale perché non meritate tanto male). Il titolo Sharknado è una crasi di due termini distinti e difficilmente accumunabili: Shark, squalo e Tornado, tornado. La trama del film è desumibile dal titolo, ovvero Shark, squali e Tornado, tornado. BANG. Sharknado.


Questa è una locandina onesta.

Non mi metto a far le pulci alla verosimiglianza di un film il cui titolo ho già ripetuto due volte qui sopra, d’altra parte sono un fan di The Avengers, Pacific Rim, Spiderman (quello di Raimi, sia chiaro, non quell’altra roba dal titolo “Un posto al sole di fronte a Centovetrine con ragnatele”); va da sé che Sharknado non punta molto sulla supension of disbelief, quanto piuttosto su SQUALI che vengono portati a spasso per la città da dei TORNADO. E mangiano le persone al volo. Entrano nelle case, spinti a forza dal vento impetuoso e si cibano dei residenti. Sguazzano accanto alle auto e spolpano chiunque.
E io sono felice.
Tizio con motosega contro squalo, The Asylum, 2013


Non fraintendetemi, non sono un cinico detrattore della vita umana in generale, il fatto è che il cinema è un linguaggio, un linguaggio è un sistema complesso fatto di segni e i segni son cose che stanno per altre cose. Avete presente la pipa di Magritte? Quella non è una pipa, è un segno sommato a un segno che evoca un oggetto che non è il segno che lo rappresenta. I morti mangiati dagli squali non sono “morti mangiati da squali”, sono funzioni all’interno di uno spettacolo e come tali hanno un preciso scopo narrativo.
Ma la vera domanda a questo punto è: si può dire che Sharknado sia buon cinema?
Direi di no. Ma proprio NO, senza remore e senza tentennamenti. Fa schifo, come cinema. A livello meramente tecnico è un indigesto miscuglio di stock footage, becere trovate da blockbuster allestite in maniera superficiale e confusa, effetti speciali risibili, dialoghi imbarazzanti, attori impresentabili (tra i quali il tizio che interpretava Steve in Beverly Hills 90210, Ian Ziering)… Eppure, signori miei, se il cinema ha nella propria natura l’atavico desiderio di dispensare sense of wonder, allora Sharknado non solo centra il bersaglio, ma lo distrugge e distrugge anche quelli vicini, la città in cui si trovano, il mondo intero che li ospita. È una bomba nucleare di divertimento. Inizia con una scena da antologia, ambientata su un peschereccio, poi smorza un po’ spostando l’azione su una spiaggia, poi succede di tutto, poi annoia di nuovo per un po’ e vorresti uscire a fare ciò che la gente normale fa quando esce, poi ti avvince con situazioni folli, grottesche, pazzesche, poi di nuovo noia, poi di nuovo genio.
Se vi dovesse capitare di incappare in Sharknado, una possibilità concedetegliela. Non è Malick, non sarà Kubrick, di certo non è Sorrentino… ma ci sono squali volanti uccisi a colpi di sgabello da un vecchio ubriacone, e, credetemi, difficilmente vi capiterà di nuovo di vedere qualcosa di simile!