giovedì 13 marzo 2014

Il Cineocchio colpisce ancora: Gloria alla corte dello Spettatore Occasionale

Secondo appuntamento con la rubrica casuale "Uno Spettatore Occasionale al Cineocchio di Alba". Secondo film per il sottoscritto: Gloria di Sebastián Lelio.


Gloria è una cinquantottenne divorziata, con due figli adulti che sembrano averla dimenticata. La sua vita è fatta di lavoro e serate in locali frequentati da coetanei in cerca di divertimento. L'incontro con Rodolfo, recentemente divorziato, sembra portare un cambiamento nella vita di Gloria. Il travagliato rapporto che instaura con lui la costringerà a dover fronteggiare la sfida più difficile: guardare se stessa con onestà, smettere di nascondersi, tornare a essere il centro del proprio mondo.

La prima considerazione da fare sulla pellicola in questione è questa: il regista e co-sceneggiatore, Lelio, ha quarant'anni compiuti da poco. Inoltre è un uomo.
So che possono sembrare due informazioni risibili, ma nel complesso affresco femminile portato in scena sono elementi importantissimi. Per prima cosa inducono a rendere merito al regista, perché è riuscito a tratteggiare in Gloria una figura credibile e viva (tanto da accompagnare la strepitosa interprete, Paulina Garcia, all'Orso d'Argento). In secondo luogo ne confermano le capacità di analisi e drammaturgiche, considerata la giovane età.

Lelio si avvale di una fotografia desaturata, contraddistinta da colori spenti e opachi. Gli unici eccessi sono dati da alcuni capi d'abbigliamento di Gloria, vistosi e sgargianti. Il Cile immortalato nel film è un luogo in bilico tra un passato ingombrante e un presente incerto. Un paese ferito popolato da persone confuse e incomplete, fragili, in cerca di redenzione o semplicemente di oblio.
Il tema del sesso in mezza età è trattato con tatto e coraggio. La macchina da presa usa sempre un certo rispetto nell'inquadrare Gloria. Ogni tanto le riprese vengono effettuate da una certa distanza, specialmente quando la protagonista è sola o si trova in un momento di debolezza (appena sveglia, in ansia).
Lelio la tratta con garbo, riuscendo al tempo stesso a non farla mai scivolare in secondo piano. Ricorre a un procedimento anaforico quando vuole che emerga chiaro il ritmo ripetitivo e schematico della sua vita (per esempio nelle ripetute sequenze in auto, quando il movimento è sempre in direzione sinistra verso destra, e Gloria reitera la stessa azione del canticchiare insieme alla radio); devia dalla ripetizione quando vuole esaltare un momento particolare, ricorrendo a movimenti di macchina aggraziati e precisi.

Gloria (nomen omen) ha alle spalle un matrimonio fallito, vive un rapporto difficile con i figli e cerca di colmare i vuoti che avverte con incontri fugaci, corsi estemporanei, avventure dal sapore adolescenziale. Ha paura di restare sola. Il mondo che la circonda è minaccioso (le urla del vicino di casa al piano superiore, i rumori molesti, violenza che non viene mai mostrata).
L'incontro con Rodolfo sembra alludere a un imminente cambiamento, uno stravolgimento vero e proprio, una seconda possibilità. Se un film che si intitola Gloria mette in chiaro sin da subito l'importanza che attribuisce nei Nomi, l'altro personaggio non può che chiamarsi come Rodolfo Valentino, il Latin Lover per antonomasia. Tuttavia, esattamente come il Cile che ospita la vicenda, anche Rodolfo è in subbuglio: divorziato da poco, reduce da un intervento chirurgico che gli ha consentito di perdere decine di chili, è ancora in via di assestamento. In una battuta rivolta a Gloria esplicita questo concetto: le dice che l'operazione subita ha cambiato il suo corpo, ma la parte più difficile è ora quello che intende fare a se stesso. Cambiare atteggiamento, mentalità. Liberarsi dal peso del matrimonio fallito, anche se, contrariamente a Gloria, le figlie ormai adulte avute dalla moglie rendono il distacco complicato. Se Gloria è ignorata dai figli, Rodolfo è assediato.

Il nostro Latin Lover si mostra molto fragile; ancor più che debole, meschino e pavido. A ogni chiamata delle figlie o contatto dell'ex moglie, corre, scappa, scompare. Gloria investe nella relazione, tenta di allontanarsi quando scorge segni di inaffidabilità, ma poi torna indietro e concede un'altra possibilità. Possibilità destinata a essere disattesa; il personaggio maschile è patetico, la quintessenza di macroscopici difetti del genere (immaturo, bugiardo, permaloso, indeciso). Al termine della vicenda fugge, lasciando Gloria da sola, nel ristorante di un Hotel fuori città dove avevano in programma una vacanza romantica. Fugge senza nemmeno pagare il conto, richiamato all'ordine dalle figlie.

Gloria si arrende all'evidenza. Non può esserci futuro con lui. Nel momento forse più triste dell'intero film, chiama la sola persona sulla quale sa di poter contare: la domestica. Sarà questo personaggio semplice, dimesso e di poche parole a tirarla fuori dai guai, riaccompagnandola a casa.

Nella parte conclusiva Lelio scioglie i nodi rimasti e si avvale di alcuni elementi simbolici un po' grossolani (seppur efficaci). Gloria si sottopone a una visita oculistica, scopre di avere un glaucoma e di dover seguire una cura per tutta la vita, pena la perdita progressiva e irreversibile della vista. Vaga per un centro commerciale, trova un burattinaio che tiene uno spettacolo davanti a un capannello di gente: il pupazzo che anima è uno scheletro (più chiaro di così...). Glaucoma più scheletro uguale Morte. Morte nel senso di fine, fine nel senso di necessità di tracciare un bilancio. Per Gloria la vita cos'è? Che cos'è stata? In che modo la sta vivendo? Si nasconde o la affronta? Il burattino a forma di scheletro danza, animato da un burattinaio mai inquadrato.
Gloria si china, offre qualche moneta e lascia lo spettacolo.

Un'ultima festa, l'ennesima sala da ballo. Gloria esce, fa due passi nel giardino adiacente al padiglione, vede un pavone bianco. Ha la coda aperta, un po' povera di piume a onor del vero. Torna indietro, siede a un tavolo, da sola. Rifiuta l'invito di uno spasimante, la richiesta di un ballo. Sorride.

Infine va sulla pista, da sola, e balla, sempre da sola. La canzone è Gloria, di Tozzi. La danza è inizialmente impacciata, poi più coinvolta, poi liberatoria. Gloria non ha più bisogno di nascondersi dietro storie traballanti o amicizie estemporanee: può vivere e può essere felice da sé, succeda quel che deve succedere.

Lelio confeziona uno spettacolo coinvolgente, non superficiale e capace di far riflettere. Alcuni aspetti mi hanno convinto poco (la caratterizzazione dei personaggi che ruotano intorno a Gloria è minima, a tratti poco credibile, sembra scritta per rendere più agevole la loro scomparsa dal quadro d'insieme), ma nel complesso mi ha convinto e non deluso.

Lo Spettatore Occasionale approva Gloria: non ha l'impatto emozionale del precedente, ma è una pellicola ben riuscita.
Alla prossima con Blue Jasmine!

1 commento:

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