lunedì 10 marzo 2014

Lo Spettatore Occasionale al Cineocchio di Alba. La Vita di Adele, parte 1 e 2

Nella ridente città di Alba si tiene annualmente una rassegna cinematografica. Tale rassegna si intitola IL CINEOCCHIO. Roba di Dziga Vertov, per intenderci.
Quest'anno, lo Spettatore Occasionale ha preso la decisione di fare la tessera e si è imbarcato nell'impresa di vedere (quasi) tutti i titoli proposti. Con il ritardo che gli si addice, il vostro impavido blogger fornirà una personale recensione dei film visti (dei quattro proiettati sinora, mi fermo colpevolmente a due). 
Iniziamo con La Vita di Adele, capitoli 1 e 2 di . Trionfatore del Festival di Cannes 2013, pellicola di apertura del Cineocchio di Alba, questo film ha colpito il cuore occasionale dello Spettatore -sapete come prosegue. 




Sinossi per chi non ne sapesse nulla.
Adele, adolescente francese, vive a Lille e conduce un'esistenza opaca, sino a quando incontra Emma; con lei imparerà che cosa significhi passione, che cosa sia l'amore, che cosa voglia dire crescere e, impresa più ardua di ogni altra, a quale prezzo di possa giungere all'accettazione di sé.
Se pensate che queste sbrigative righe siano troppo vaghe, non vi preoccupate: ora scenderemo nel dettaglio e saprò annoiarvi come al solito!

Kechiche trae ispirazione da una graphic novel di successo; si discosta sin dal principio dalla fonte, scegliendo di non concludere la vicenda con la morte della protagonista e di non impostare la narrazione in forma di flashback. Ciò che interessa a Kechiche è l'incontro di due mondi, senza elementi melodrammatici che ne appesantiscano le dinamiche.

Le prime inquadrature rendono evidente la scelta del regista: il centro di gravità del film è e rimarrà Adele. La porta si apre e la macchina da presa si incolla ad Adèle Exarchopoulos, senza cedere né allontanarsi mai. Lo sguardo è su Adele (attrice e personaggio), costi quel che costi, senza censure, remore o pudori. Che si tratti di mangiare, scopare, piangere, cantare, Kechiche investe tutto nei primi piani, nell'espressione smarrita di Adèle, nella sua prorompente sensualità, nella sua disarmante fragilità. Il percorso che compie è un movimento che dalla scoperta di sé porta allo smarrimento, e dallo smarrimento alla riaffermazione della propria individualità. 
Adèle scopre di essere diversa perché non condivide con le proprie coetanee frivolezze e desideri. Non c'è passione nella sua prima volta con un ragazzo, soltanto imbarazzo e un senso di insoddisfazione. Nella scoperta della propria omosessualità Adèle incontra l'ennesima complicazione, l'ennesimo ostacolo che sembra condannarla a un'esistenza solitaria. Il tutta la prima parte del film, il capitolo 1 al quale il titolo allude, c'è una grande compressione dei tempi: il tempo degli eventi è limitato a uno spazio di giorni, forse settimane. L'implosione del ritmo scandisce gli avvenimenti quasi fossero infiniti. È un percorso fatto di eventi chiave per la vita della giovane: prima viene delineato l'ambiente all'interno del quale è cresciuta, con poche immagini e dialoghi scarni. Una famiglia che condivide i pasti con quiz televisivi, in silenzio; gli unici dialoghi vertono sul cibo, poco altro. La scuola, con la rappresentazione disincantata di giovani alle prese con un mondo che tentano di capire; personaggi comuni, protagonisti di vite comuni. Ci sono le classiche dinamiche del branco, con un affresco femminile ammantato di crudeltà. Gli adulti, genitori esclusi, sono rappresentati da insegnanti che sembrano ora motivati, ora semplici impiegati intenti a ripetere qualcosa in maniera meccanica. Il regista dissemina la rappresentazione della scuola di elementi che ritorneranno nel dipanarsi della vicenda: accenni alla Tragedia ("l'individuo posto di fronte all'ineluttabile"), ai romanzi di formazione, a definizioni artistiche di Amore. 
L'incontro con Emma, colei che sembra essere ciò che Adèle cerca, scompagina le carte, introduce il blu nel film e fa accelerare la vicenda. Dall'incrocio per strada al sogno, all'incontro in un locale gay, sino all'appostamento davanti alla scuola, Emma assume le proporzioni di un idolo, il cardine intorno al quale la vita di Adèle è destinata a girare.
Nell'esplosione dei sensi (lo sguardo, il tocco, la vista, il sesso) Adèle ed Emma si incastrano, si compensano, si completano; nella costante ricerca di cesellare i due personaggi in un quadro più ampio, Kechiche disegna un rapporto speculare tra le famiglie delle ragazze: ci sono i borghesi con pretese intellettuali, mamma di Emma e compagno, e i semplici, pragmatici genitori di Adèle. Gli uni e gli altri appaiono inadeguati, smarriti, trincerati dietro maschere che generano distanza tra loro e le figlie. La passione diviene centrale, con scene di sesso esplicite, nessun suono extradiegetico, solo corpi e sospiri. Lo sguardo non è mai pornografico in senso stretto, è semplicemente coerente con l'assunto di base. Il centro di gravità del film è Adele, non importa che cosa faccia, con lo stesso desiderio di completezza si mostrano il sonno o la passione.

Tra il primo e il secondo capitolo il solco è profondo.

Ci ritroviamo presumibilmente anni dopo il loro incontro; Adèle cucina. Assistiamo a un party a casa di Emma e Adèle; ormai sono una coppia, vivono insieme. Appartiene al passato quell'Adèle che mentiva ai genitori per consentire a Emma di dormire in casa loro, definendola "amica". Se il primo capitolo faceva della compressione la cifra temporale del ritmo, il secondo accelera esplodendo il tempo. I pochi giorni della parte iniziale, divengono mesi, anni in questo capitolo. Se l'oggetto della capitolo 1 era la scoperta di sé attraverso i sensi, ora assistiamo alla progressiva perdita di quel fuoco, allo spegnersi della passione, alla deriva di una relazione tra opposti che prelude a una dolorosa separazione.

Adèle aveva incontrato Emma per la prima volta in una piazza affollata. Il colore blu dei suoi capelli cattura lo sguardo, la disinvoltura con la quale esibisce la propria omosessualità sbalordisce e confonde. Quando Emma e Adèle si incrociano, scambiano qualche parola, iniziano a frequentarsi, la relazione si fonda su una reciproca ossessione. Una fascinazione totale, quella di Adèle per Emma; un magnetismo sensuale ed estetico, quello esercitato da Adèle su Emma. L'ossessione evolve nel succedersi degli atti: in Emma la passione diventa ispirazione, in Adèle si trasforma in necessità. Quando l'equilibrio si spezza, quando Emma non si accontenta più di una Adèle che sacrifica tutta se stessa sull'altare del loro amore, riducendosi a oggetto di contemplazione e poco altro, la rottura è inevitabile. Adèle cerca conforto tra le braccia di un collega, Emma la caccia di casa, Adèle smette di muoversi.


La metamorfosi dei personaggi costruisce ribaltamenti. La semplice Adèle, che coltivava il sogno di insegnare ai bambini, vive la realizzazione del proprio progetto di vita con la tensione data dalla solitudine; Emma, che in Adèle aveva trovato una compagna e una musa, si butta in una nuova relazione e ricomincia a vivere. Nel continuo gioco di apparenze e illusioni, nessuna delle due protagoniste riesce a sciogliere il legame che ha con l'altra. Inutile lasciar passare del tempo, inutile vivere esperienze, nascondere la verità a se stesse: il marchio che hanno dentro le rende complici e unite, e sembra essere un vincolo indissolubile. 

Tutto ciò che nel capitolo 1 era mostrato ed esplicito (vicinanza, sesso, comunione) in quest'altra faccia della medaglia è relegato a una dimensione più intima. Adèle vive l'attesa di una riconciliazione senza rendersi conto di avere una vita che prescinde da Emma. Non ci sono dialoghi che rendano manifesto tutto ciò, perché il travaglio è negli sguardi, nei silenzi, nel pianto, nell'abbandono. 

Quando l'incontro avviene, quando Emma e Adèle tornano a vedersi dopo mesi, tutta la tensione è sull'asse Adèle - Emma. Pur essendo causa della rottura e vittima del dolore conseguente, è lei a mostrare la maggiore partecipazione. Emma è confusa, spaurita, debole. Adèle è forte nel proprio dolore, e quando tenta un approccio, inizialmente corrisposto, alla fine si scontra con il rifiuto dell'altra, e davanti a sé trova una persona cambiata. Non più l'artista con i capelli blu, ma un'opaca, conformista, comune donna che ha abbandonato quel che era per avere in cambio un'esistenza differente, in apparenza fin troppo ordinaria. L'ossessione di Emma è spenta; ora ha una famiglia, una compagna, una figlia. Un'esistenza normale, alla quale affianca un'esperienza artistica non più dettata dall'ispirazione, ma dalle precise richieste di chi le revisiona i lavori per renderli più vendibili. Ciò che resta del nucleo artistico del passato è l'immagine di Adèle.


Nel segmento conclusivo della pellicola, Adèle viene invitata all'inaugurazione di una mostra. Emma espone nuove opere. Adèle indossa un abito blu, si prepara, si illude, forse, e partecipa alla cerimonia.

Emma la accoglie con tenerezza, la osserva quando sono lontane, la tiene a distanza, quasi fosse consapevole del pericolo che rappresenta. Adèle contempla i quadri, in ciascuno di essi trova se stessa, trasfigurata, abbozzata, sempre centrale. L'ossessione si concretizza sulle tele: il legame è indissolubile? Il chiacchiericcio dei vuoti intellettuali che affollano la sala rende evidente che non esiste futuro, che non può esserci riconciliazione con Emma: i loro mondi sono distanti anni luce, la semplicità che Adèle sceglie come cifra di vita è incompatibile con la sovrastruttura verbosa e pretenziosa che tiene in piedi il mondo nel quale Emma s'è smarrita. 
La passione appartiene a un'altro tempo, forse, a un'età passata, o forse a persone che devono ancora essere incontrate, ad alchimie da sperimentare. 
Adèle, nel vestito blu scelto con cura per presenziare alla manifestazione, esce dal locale e si allontana, da sola. 
Non è una resa priva di speranza, nemmeno un gesto che conduca a insane follie d'amore non corrisposto: è la presa di coscienza finale che un capitolo si è concluso. Bisogna voltare pagina. 
La macchina da presa si ferma.
Lo sguardo ossessivo che ci aveva permesso di essere Adèle, ora la rende libera, ci rende liberi: con l'allontanamento della ragazza, una macchia blu sempre più distante, la vicenda trova la propria conclusione. 


Tutta la questione dell'omosessualità viene posta a latere. Non è centrale rispetto a un discorso che parla di formazione dell'individuo, di Amore, di scelte, di sconfitte, di perdita e di dignità; di che cosa significhi confrontarsi con le proprie debolezze e affrontare con determinazione le sfide che la vita ci pone innanzi, crescere, cadere, fermarsi, ricominciare.

In tale complessità di temi, le sollecitazioni sono molte. Quanto la vita ha da offrire occupa uno spettro ampio e frastornante: ogni passione lascia dei segni. Ma che vita sarebbe, se non avessimo la possibilità di portare i segni di ciò che viviamo? 

Il film di Kechiche mi ha coinvolto e convinto. Regia e fotografia, asservite ai volti che occupano per la maggior parte del tempo le inquadrature, esaltano interpretazioni magistrali, e consentono di entrare nel meraviglioso e irripetibile mistero di due individualità che condividono un pezzo di strada, poi si perdono, e infine, inevitabilmente, ricominciano da capo. 

La vita di Adele è un'esperienza che non può lasciare indifferenti. Date una chance a quest'opera: può essere un film difficile, faticoso, di certo non si dimentica facilmente. Inoltre induce a riflettere, pone domande, lascia spazio all'interpretazione: non è una cosa da  poco, considerata la tendenza all'omologazione alla quale il cinema va incontro da troppo tempo.

Vai, CINEOCCHIO! Siamo partiti bene! 

Prossimo post dedicato al secondo film visionato dallo Spettatore Occasionale: Gloria.

Nessun commento:

Posta un commento