giovedì 22 maggio 2014

Lo Spettatore Occasionale se la fa con GODZILLA

Causa vicissitudini che non sto a raccontarvi (c'è #Cazzatecomelavita per quello), soltanto ieri sera sono riuscito ad andare a vedere Godzilla, ultima fatica del prode Gareth Edwars.

Godzilla parla di un grosso mostro verdastro che si risveglia dal letargo per spaccare modellini di città. 



Dammi il cinque, Belli Capelli!


Ok, non è proprio così, proverò a diventare un po' serio. 

Serious Mode ON

Difficile parlare di Godzilla. La sua storia cinematografica inizia nel 1954 con Gojira di Ishirô Honda. Chiara metafora dell'orrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki, l'incarnazione iniziale della creatura è spaventosa. Godzilla è un gigante il cui unico scopo è seminare distruzione. In un mondo scivolato nel caos, in un periodo storico che portava ancora i segni dell'incubo atomico, il lucertolone che viene dal mare rappresenta la vendetta della Natura sulla deviata Cultura umana. La pellicola di Honda ha la forza allegorica del più sentito monito antinucleare. 
La prima fase di Gojira, dunque, è quella di minaccia. In seguito, sia per esigenze commerciali che per appagare un pubblico che si scopre affamato di film di mostri, la natura del kaiju cambia. Non è più un semplice titano vendicatore, ma un protettore dell'umanità (primo titolo a mostrare questo cambiamento San daikaijû: Chikyû saidai no kessen del 1964, sempre di Honda, titolo che segna la nascita della nemesi di Godzilla, l'alieno tricipite King Ghidorah). Le due nature del Kaiju (minaccia/protettore) si alterneranno nel corso del tempo, a volte separate da una linea tanto sottile da risultare quasi invisibile. 

Edwards, alla seconda prova in cabina di regia, si assume oneri e onori di riportare in america il portabandiera della Toho, dopo la scampagnata del 1998 firmata da Emmerich (che a posteriori possiamo dire facesse veramente, ma veramente schifo) (toh, l'ho detto). Il precedente Gojira made in USA non era esattamente canonico: niente fiato radioattivo, nessun rispetto per il design classico, tono scanzonato e storia piuttosto debole. Riuscirà il nostro giovane regista indie a riavvicinarsi alla tradizione proponendo al contempo qualcosa di nuovo e ispirato?

Forme d'Arte.


Sì e no.

Velocemente, la trama: Joe Brody perde la moglie durante un terremoto. I due lavoravano presso la centrale nucleare di Janjira in Giappone. Non convinto delle spiegazioni fornite circa l'evento, Brody inizia a indagare per tentare di capire che cosa abbia originato le scosse: esse infatti parevano ripetere uno schema, quasi un segnale, e non sembravano normali scosse telluriche. Quindici anni più tardi suo figlio Ford lo raggiunge nei pressi di Janjira, dove è trattenuto per violazione della zona di quarantena. Insieme scopriranno l'origine del terremoto, e saranno testimoni della resurrezione di una gigantesca creatura del passato. Tale creatura inizia a seminare distruzione, mentre un antico predatore dormiente sta per tornare a caccia, richiamato dalla presenza del mostro radioattivo: è Gojira, pronto a porre fine alla minaccia del MUTO (Massive Unidentified Terrestrial Organism). Lo scontro tra le creature metterà a repentaglio la città di San Francisco, dove Ford in una disperata lotta contro il tempo tenterà di ricongiungersi con moglie e figlio.

La regia è solida. Edwards sa come costruire un'inquadratura, quale movimento di macchina sia meglio utilizzare per valorizzare le riprese, come trarre il massimo dagli attori che ha a disposizione (Walter White su tutti). La fotografia affidata a McGarvey (The Avengers, Anna Karenina, Espiazione) è opaca, desaturata, cupa. L'accompagnamento sonoro propone citazioni delle musiche originali del Gojira di Honda e nuove composizioni, simili nel tono. La prima parte del film sembra raccogliere l'eredità di Jurassic Park: suggerire la presenza dei mostri poco per volta, svelandone particolari prima di concedere una visione d'insieme. A Spielberg si rifa anche la dinamica della narrazione, tanto che alcuni passaggi sembrano provenire da un prodotto Amblin. 
Veniamo al piatto forte, Gojira. Cento metri di lucertolone con le scaglie. Il mostro voluto da Edwards è prima di tutto un animale; ciò comporta alcune conseguenze. Prima conseguenza, si stanca. Sul serio. Tipo che dopo aver combattuto sviene. Non sto scherzando. Seconda conseguenza, le movenze che ha appaiono naturali, cioè sembra appartengano a una creatura vivente. Terza conseguenza, Godzilla perde qualche oncia del proprio carattere di inarrestabile forza della natura. Va bene, combatti, sei forte, spacchi tutto... ma svieni. Ti stanchi. Crolli. Non sei poi quel Dio distruttore che sembravi...
Gojira è protettore della natura, dell'ordine, dell'equilibrio... eppure è troppo "animale" per incarnare quello spirito soprannaturale che permea le sue precedenti incarnazioni. 
Le debolezze del film non si fermano qui (purtroppo). 

La trama è davvero esile, e le due parti in cui è divisa la pellicola hanno toni e ritmi troppo diversi. La prima metà è incentrata sul creare tensione, preparare l'arrivo del titular character e progredisce con studiata lentezza. La seconda parte è più fracassona, ma viene penalizzata dalla scelta di concentrare negli ultimi venti minuti l'azione delle creature. L'azione umana è ben girata, certo, ma non offre nulla di davvero rivoluzionario. Perché? Perché, purtroppo, i personaggi sono piuttosto esili. Ma proprio tanto. 



 
Evidenziati gli aspetti deboli della pellicola, veniamo ai punti forti.

[Potrebbe contenere SPOILER]

Ora scriverò una cosa che sembrerà contraddire quanto scritto qualche paragrafo sopra: Gojira è impressionante. La prima volta che compare sullo schermo in tutta la sua imponenza è davvero un momento epico: inquadratura a salire che sottolinea la scala della creatura, e infine il ruggito... qualcosa che esplode, raggela, pietrifica. 

E mo' soccazzi.


Il MUTO che si ritrova trova davanti il nostro lucertolone sembra pensare una roba tipo: Com'è umano lei. Glielo si legge in quella sua meravigliosa faccetta a mezza via tra un insetto e un alieno. 
Il reparto FX e CGI ha fatto un lavoro memorabile. La distruzione (vera protagonista del film in termini di minutaggio) è sempre credibile. La desolazione è diffusa e trasmette un senso di impotenza, nessuno può arrestare la Natura, incarnata da queste creature che se le danno di santa ragione. 

Proprio come il precedente Monsters, Godzilla sceglie il punto di vista umano nel mostrare un mondo alieno: siamo noi che dal basso osserviamo questi Dei selvaggi e inarrestabili, noi che proviamo a fermarli senza riuscirci, noi che ci arrendiamo di fronte all'inevitabile. Anche tutta la faccenda della bomba atomica mette in luce la casualità di ciò che accade: si possono fare mille dettagliatissimi piani, ma c'è un mondo intero che è pronto a mostrarci la nostra reale statura, pronto a radere al suolo le nostre immense città, restituendoci al ruolo di ospiti che troppo spesso dimentichiamo di interpretare. In ciò, forse, Edwards eccelle: nel dipingere la sconfitta della Cultura di fronte alla Natura. E in questa luce il finale apparentemente consolatorio è uno sfregio. Godzilla spegne la minaccia dei MUTO, ma poi se ne va senza badare a uomini, armi, città. Se ne va perché noi per lui non contiamo nulla.

Che altro dire? Il lucertolone se la cava bene, è un po' troppo "gracile" rispetto al canone nipponico, ma è pur sempre un degno erede della tradizione cui si ispira. Quello di Emmerich era una femminuccia in confronto a questo. 


Ve la ricordate la scena di Godzilla (1998) in cui il protagonista fa il test di gravidanza al mostro e scopre che è incinta? Ecco. Qua non succede niente del genere.

In conclusione, se amate i kaiju movie con un'anima non rimarrete delusi. Certo, è un film con difetti e cose che faranno storcere il naso, ma visivamente è d'impatto, non annoia e intrattiene sino alla fine. 

Se volete approfondire, alcune letture interessanti sul lucertolone:


I 400 Calci: Godzilla, mostrologia
I 400 Calci: Godzilla, recensione
Doc Manhattan recensisce Godzilla
Wikipedia ti spiega tutto di Godzilla
Il Blogger Occasionale in versione seria parla delle fonti di ispirazione di Edwards

E ora i saluti!



4 commenti:

  1. Ne hai fatto una lunga e accurata analisi, non c'è che dire :) Però non è nel genere di film che amo vedere io, anche se mi ricordo quello con la sigla di Jamiroquai... ahaha, che tempi! ^^

    Ciao! :)

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  2. Mannaggia... Mi parli del '98, preistoria, roba di un'altra epoca, epoca in cui ero giovine e sbarazzino! ;-P
    Anche se non è il tuo genere, prova a sopportare la visione di Monsters (2010) di Edwards, film che il regista stesso ha definito "una sorta di Lost in Translation con i mostri". Potrebbe piacerti e farti di conseguenza entrare nel giro di Godzilla!
    Buona serata!

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  3. ottima analisi su cui concordo...secondo me Edwards è un bravo regista che ha costruito Godzilla pensando all'originale ma anche al suo film precedente Monsters...

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    1. Temo si sia soffermato più su Monsters (che trovo peraltro un film magnifico e coraggioso) che su Godzilla... Poteva andare peggio. E' già andata peggio, a onor del vero, con quella porcheria ammeregana del '98 e con molte altre porcherie nipponiche nel corso dei decenni.
      Speriamo sia il buon inizio di una nuova stagione dei monster movie!
      Grazie per essere passato da queste parti!

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