giovedì 26 settembre 2013

Lo Spettatore Occasionale alle prese con i Grandi Antichi: Call of Cthulhu (2005)



H.P. Lovecraft è stato uno scrittore americano di inizio novecento, mai esploso in vita. 
Esploso nel senso di divenuto famoso. Non esploso tipo tritolo.

Ciao a tutti, sono Lovecraft. Non sono mai esploso in vita. Nel senso di diventato famoso, non del tritolo.

Fu amico di Bloch (l’autore di Psycho), grande estimatore di Poe, ispiratore di un’intera generazione di autori horror e weird, bastardo retrogrado razzista e antisemita. Tralasciando l’ultima parte della sua breve introduzione (che me lo fa odiare come essere umano), Lovecraft fu il visionario creatore di un universo caustico e nichilista, popolato da Dei dimenticati che attendono il giusto momento per tornare a calpestare la Terra. Il suo Orrore Cosmico è ancora oggi efficace e disturbante, malsano e morboso, affascinante e deprimente al tempo stesso.

Il cinema è un’arte che prevede la creazione di immagini in movimento, correlate tra di esse, caratterizzate da una trama e da dettagli tecnici dei quali immagino vi freghi meno di zero.
Ma forse questo lo sapete già.

Il cinema ha spesso attinto alla narrativa per cavar fuori idee per pellicole da distribuire sul mercato. Edgar Allan Poe è stato amato dalla Hammer, poi da Bava, Fulci, Argento e così via. Lovecraft ha ispirato molto il cinema, senza mai riuscire a essere tradotto in maniera decorosa. Tipo che gli adattamenti cinematografici di Lovecraft sono delle merde. 

Ciao ciao, gente! Non sono una pellicola basata sui lavori di Lovecraft, sono uno Str...o normale!


Non c’è nemmeno da discutere.
Salverei Re-Animator, se proprio dovessi dirne uno, anche se sconfina nel campo del demenziale, nella commedia nerissima a sfondo splatter. Minchia, che definizione.

Ora smettete di sbadigliare che passiamo alla recensione.

Il cardine della narrativa di Lovecraft ruota intorno al culto segreto di Dei primigeni, chiamati Antichi, Grandi Antichi o Vecchi. Questi Dei hanno un profeta, che si chiama Cthulhu.
Cthulhu è un gigante con ali di drago, corpo antropomorfo, artigli, testa di polipo. Gigante nel senso che è alto come una montagna. È fatto di una materia che non può essere distrutta. Dorme sepolto sotto l’oceano, in una città morta che si chiama R’Lyeh. Capito? Non hanno come profeta Ezechiele o San Giovanni, questi Antichi, ma un titano mostruoso che schiaccia le città come fossero cacche di cane. Uno a zero per gli Antichi.

Io sono Cthulhu. Nella antica lingua di R'Lyeh il mio nome significa: "Non rompete il cazzo".


“Il Richiamo di Cthulhu” è il racconto con il quale Lovecraft tenta di collegare tutta la propria narrativa precedente in un universo tematico univoco, e getta le basi per storie appartenenti al Mito che scriverà (o riscriverà per altri autori, come revisore di bozze) negli anni a venire.
Il racconto è apprezzabile ancora oggi, molto inquietante, terribile al punto giusto e con un climax mostruoso nel terzo atto.
Manco a farlo apposta, questo racconto mai era stato approcciato dal cinema, che ha preferito saccheggiare storie minori per regalarci chicche di letame mica da ridere.
Nel 2005 la HPL Historical Society realizza un film dal titolo The call of Cthulhu: attori non professionisti, scarsi mezzi, tanta fedeltà al testo di partenza, grande conoscenza del corpus letterario del Nostro e una sconfinata passione.
Ah, già: lo girano in bianco e nero come fosse un film degli anni venti. Per la precisione, un film espressionista. 

Non sembra roba tipo anni venti?


Risultato: un’opera davvero magnifica. Magnifica dal punto di vista estetico, perché aderisce perfettamente ai canoni dell’espressionismo che omaggia (con sequenze che sembrano rubate a Il gabinetto del Dottor Caligari o Lo studente di Praga o ancora Nosferatu di Murnau.); magnifica dal punto di vista narrativo, perché rispetta la fonte sia nel dipanarsi della vicenda che nella struttura del racconto (il racconto originale è diviso in tre parti, tre microracconti fatti da personaggi diversi, tre differenti punti di vista, parti di un mosaico che soltanto alla fine in parte si ricomporrà; il film mantiene la struttura tripartita e offre la stessa molteplicità di punti di vista); magnifica dal punto di vista della suggestione, perché pur utilizzando un linguaggio ostico come quello del film muto, riesce a trasmettere l’inquietudine e il senso di minaccia che la storia crea. 

Oh, il prodigioso effetto speciale alla Mucciaccia!


Stiamo parlando di un film muto, nel quale gli attori non parlano se non attraverso cartelli inseriti tra una breve sequenza e l’altra, non è esattamente un film di Michael Bay, però tiene desta l’attenzione e intriga. La fotografia è molto curata e contribuisce a scolpire sul volto degli attori emozioni e sensazioni, veicolandole al pubblico in maniera forte e convincente; scene oniriche e avventurose sono realizzate immaginando di avere gli strumenti tecnici dell’epoca, quindi con effetti ottici quali prospettive forzate, minimi movimenti di macchina, mimica esasperata, giochi di luce e animazioni a passo uno.

Ovvio che al culmine della tensione, nella terza parte, quando effetti speciali più moderni avrebbero aumentato la resa emozionale delle scene, forse il film perde un po’ di potenza, ma è un difetto lieve; nel complesso si tratta di uno dei più riusciti adattamenti cinematografici che abbia visto (considerando l’aderenza alla fonte).
E poi Cthulhu non è mai stato condannato per frode fiscale.
Provaci, a condannare Cthulhu per frode fiscale. 

Condannami, se riesci. Forza. Ti sfido.


In conclusione, se siete alla ricerca di un film muto semisconosciuto, che dura poco, ha effetti speciali farlocchi (tipo teli di tessuto mossi da ventilatori per ricreare le onde del mare, un mostro realizzato in stop motion), attori che non avete mai visto e una colonna sonora senza Rihanna, Lady Gaga o uno di quei giovinastri che fanno musica senza cuore (oh, Bill Hicks, quanto maledettamente avevi ragione), allora questo film fa per voi.
Se invece non ve ne frega una ceppa di cinema, Lovecraft, espressionismo, stop motion e Cthulhu, guardatevi qualcos’altro.
Cazzo ne so, guardatevi Sotto Assedio.

Tra l’altro, qualche anno dopo (2011) i nostri eroi della HPLHS ci riprovano con il racconto The Whisperer in Darkness: sempre bianco e nero, sempre attori non professionisti, sempre pochi fondi. Non citano più l’espressionismo tedesco, ma i film americani con argomento soprannaturale degli anni cinquanta. Il racconto originale è molto bello. Il film no. NO. Prima metà ok. Poi NO. No, perché da un certo punto in avanti ha una deriva action poveraccia e malrealizzata; si stacca rumorosamente dalla fonte e imbocca una strada incerta, tentando nel finale di metterci una pezza. E poi i mostri in CGI farlocca… Preferisco non vedere nulla. Preferisco gommapiuma, lattice, pupazzoni fatti a cazzo. CGI cagosa in un film del genere no. 

Ma sono davvero così brutto? E se mi pettino diverso?


Un saluto anche dal Sommo Cthulhu.

Ciao ciao, statemi bene.


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