giovedì 28 novembre 2013

La decadenza non è una danza, ma amara sostanza per un uomo de panza. Firmato: Il Cittadino Occasionale

Mentre tutto quanto il circo al quale la politica nostrana ci ha abituati, giungendo infine a narcotizzarci, fa bella mostra della propria mostruosità, sento il grande vuoto lasciato dalla domanda chiave, che mi sembra nessuno abbia l'ardire di fare.
Poniamo che, in un qualunque altro paese al mondo, un uomo politico importante sia condannato per un reato ai danni della comunità (perché Frode Fiscale quello significa); poniamo che tutti attendano il pronunciamento dell’ennesima assemblea di rappresentanti della nazione per sapere se questo politico si leverà dai marroni oppure no; poniamo che si viva un quotidiano stillicidio di dichiarazioni, prevaricazioni, anatemi, piagnistei, filippiche e orazioni; secondo voi, considerate le premesse di cui sopra, è possibile che nessuno si ponga la domanda delle domande?
La domanda delle domande è: (mettetevi seduti, prendete fiato, fatevi coraggio)
 

PERCHÉ NON SI È DIMESSO SPONTANEAMENTE?

Non dopo l’ultimo grado di giudizio, ma prima. Prima del primo, magari. Per decoro. Rispetto del proprio paese, dei propri concittadini, della propria dignità.
Esiste la dignità in Berlusconi? La risposta è:
AH HA AH AH AH AH AH AH HA AH AH AH AH AH.


Che meraviglia, che classe, che stile inconfondibile.
Beh, no. Non esiste. 
Zero. 
Nessuna traccia.

Mentre si parla di fine di un’epoca, di caduta di un gigante, di gigantesco crollo di una figura ingombrante, di ingombrante e gigantesca caduta di palle di fronte a un nano dall’ombra chilometrica, il mondo seguita a roteare su se stesso, gli altri paesi vivono vite in cerca di una parvenza di normalità e noi restiamo ipnotizzati a osservarci l’ombelico.
Come ho già avuto modo di osservare in precedenza, il Silvianesimo continua a dar prova di grande radicamento, di estrema forza. Valletti, paggi e donne di piacere starnazzano intorno al loro Leader (vecchio e consumato), parlandosi addosso e dipingendo un quadro silviocentrico all’interno del quale la sola effigie del Re è chiara, mentre tutto il resto è uno sfocato insieme di colori.
La Biancofiore (alla quale auguro un momento di lucidità, uno solo, in cui la drammatica presa di coscienza di ciò che è e di ciò che rappresenta la spinga a tacere per sempre) dichiara: "Quando le donne vedono un uomo ricco, ci si buttano a pesce".
Michaela. Michaela (con l’acca) cara.
Michaela mia, io temo che UNA donna nello specifico si sia buttata sul PESCE di un uomo ricco, e se ti fischiano le orecchie, forse è perché ne sai qualcosa.



Brunetta dice robe turpi di chiunque, gioca con le parole ("grandi intese, piccole intese, governo di sinistra"). Bondi (dal fisico falliforme, con una testa a cappella che induce a pensare che sia una grandissima, viscida testa di QUARZO) graffia Formigoni, Formigoni, altro uomo priva di alcuna dignità, continua a sedere e battibeccare con quegli altri, Cuperlo e Renzi si prendono a parole e si rendono ridicoli con battute da quinta elementare, Vendola inciampa in un’intercettazione da brividi, Grillo continua a chiedere la testa di Napolitano, e al contempo insiste nel volersi appropriare dei meriti (?) della caduta del decaduto.
La politica italiana è Berlusconi. Si articola in maniera antitetica intorno a lui. Ci sono quelli a favore e quelli contro, due macrocategorie; scendi di livello, trovi ulteriori divisioni. Tali divisioni sono ulteriormente disposte lungo una scala, secondo le attitudini di chi le popola. Ci sono quelli più volenti (nel difendere o nell’attaccare), i moderati, i border line, e poi Casini, che fa categoria a sé, uno che pur di tenere le natiche sulla poltrona arriverebbe a dire qualsiasi cosa.
C'è anche di peggio, eh. Tipo Capezzone.
Dichiarazione di Capezzone:
"Berlusconi si paragona a Napoleone e Churchill. Mi ricorda la barzelletta dei due matti: uno dice "Io sono Mosè e Iddio mi ha dato le tavole della legge" e l’ altro, offeso "Ma guarda che io non ti ho dato niente!". Ecco, lui potrebbe essere il secondo matto, mentre per il novello Mosè bisogna scegliere tra Bondi e Fede" (Corriere della Sera, 2006).


Non è magnifico che dietro quest'uomo ci sia la scritta "MARKETTE"?
  
Daniele, basta così? Ti mordi questa linguetta dispettosa?

Berlusconi non è il male più grande dell’Italia, ma certo non è stato per l'Italia portatore di grandi benefici.
Innanzitutto, con il Silvianesimo la politica è diventata ShowBiz, i fatti sono scomparsi a favore delle descrizioni, la realtà si è trasformata in narrazione, la visione delle cose è stata sostituita dalla percezione. Lo schema ha funzionato e ha stabilito regole ferree: apparire, apparire, apparire. Dichiarare, dichiarare, dichiarare. Smentire, smentire, smentire.
La sovraesposizione di sé propria del Cavaliere ha generato un’alterazione della percezione; che lo si condivida o meno, Berlusconi è diventato necessario alla politica, anzi, di più: quasi sinonimo di politica. La sua strategia di marketing ha funzionato alla grande: depauperamento della cultura in politica, in società, nella comunicazione. Perché due categorie di persone possono pensare che il controllo dell’informazione e dell'intrattenimento operato da Berlusconi non abbia avuto effetti sulla popolazione: persone sprovvedute o persone in malafede. La comunicazione ha un potere immenso. Non si tratta soltanto di pubblicità o di spettacolo: saper utilizzare tecniche specifiche del settore restituisce un immenso potere, e tale potere fa ottenere risultati.
Mediaset (o Fininvest, come si chiamava prima) ha depositato un sostrato culturale innegabile. Associato a esso, ha distribuito idee, ideali e valori che sono stati determinanti nella formazione di almeno una generazione. Uno dei motivi per cui ha funzionato risiede nel fatto che, almeno in Italia e ancora oggi, la televisione come mezzo di informazione e formazione è ritenuto affidabile, e un’informazione o un concetto rilasciati attraverso di essa sono recepiti come oggettivi.
Chi scampa la televisione, viene raggiunto dalle testate giornalistiche violente edite dalla famiglia B o da altre forme di trasmissione del messaggio. La carta stampata del gruppo ha sdoganato l’uso di parolacce in prima pagina, l’insulto, lo sberleffo inserito in un contesto di serietà, prendendo precipue caratteristiche dei giornali satirici (per esempio il linguaggio colorito de "Il Vernacoliere") e affiancandolo alle linee guida di riviste "di regime", di partito, settarie e ostili a tutto ciò che rappresenta altre forme di pensiero o di giudizio.


Esempio di giornalismo misurato e per nulla sensazionalistico.


La trasmissione di un messaggio non è soltanto la consegna di un significato, ma anche (e in certi casi soprattutto) la modalità di consegna, la creazione di un significato attraverso la scelta del mezzo utilizzato per diffonderlo e la ragnatela si sottintesi che sta dentro al messaggio stesso. La carta vincente del Silvianesimo è da  un lato il vittimismo (tutti ce l'hanno con il povero Silvio, tutti lo insultano, lo osteggiano, rendono impossibile che realizzi le grandissime imprese che avrebbe tutte le capacità di portare a termine), dall'altro il disprezzo figlio di un senso di superiorità. Silvio si sente (e si mostra) superiore a tutti. Anche davanti ai suoi accoliti. Egli è migliore, in ogni ambito.
Chiedete a Zoff.
Non accetta critica, né sopporta il dialogo. Il Silvianesimo (così come la politica vista dal dinamico duo Grillo - Casaleggio) è monologica, non dialettica. Di fronte al dialogo, arretra, si arrocca e lancia attacchi. Se rifiuta il contatto con altro da Sé, non soltanto è uno sterile monologo, ma addirittura un atto masturbatorio. Non porta a nulla, non genera figli, è determinata e mossa soltanto dal desiderio di compiacersi.
Dopo vent'anni di una politica fatta di pugnette, ammetto di essere un po' stanco.
Non si tratta di disamore, quanto di totale assenza di speranze, di prospettive di cambiamento, di positività. Ieri sera ascoltavo Mulè dibattere con Augias a Otto e mezzo. Mulè incarna lo stereotipo del Berlusconiano DOC. Le tecniche oratorie sono quelle di tutti gli altri: si parla con supponenza, mancanza di rispetto per l'interlocutore; si provoca in continuazione, si impedisce il dialogo utilizzando strumenti triti e ritriti (interrompere l'avversario mentre parla, parlargli sopra), ci si dipinge come vittime di un qualche non meglio precisato "schema", che mira all'assunzione del potere calpestando tutto e tutti (i Comunisti, la Magistratura, la Sinistra, la Stampa in generale, i Movimenti di protesta o altri nemici intercambiabili), si ripete il mantra in voga nel periodo (con la reiterazione di determinate parole chiave), solite cose.
Nauseanti cose.


Mannaggia la pupazza.

Eppure gente in piazza ce n'è. Persone che accolgono la vulgata del Silvianesimo e partecipano con convinzione alla celebrazione del loro profeta; si ritorna al concetto di narrazione, mille miglia distanti dalla politica. È ShowBiz, baby.
E per tutti noi, osservatori stanchi e fiaccati da anni di repliche? Siamo un po' come Bill Murray in "Ricomincio da capo". La sveglia suona, scendi dal letto, scopri di essere intrappolato in un eterno ieri, un giorno già vissuto destinato a ripetersi in eterno.
Sono un maledetto sognatore, lo ammetto. Fino a qualche anno fa avrei detto che per interrompere il sortilegio la ricetta è semplice: fare cultura. Punto.
Oggi? Ammetto di non esserne più tanto sicuro.

Siano ancora nella notte del Silvianesimo, un'epoca oscurantista e fastidiosa, popolata da cortigiani e da uno che ha fatto danni incalcolabili al sistema Italia pur riuscendo a mantenere un'immagine di Sé vincente. Un uomo che ha guidato la più ampia maggioranza di Governo della Storia Repubblicana, eppure è riuscito a non combinare un piffero. Uno che viene amato dalle persone più umili, più deboli e da quelle più asservite e opportuniste. Una notte senza stelle, caliginosa e terribile.
Come si esce da questa notte?
Saperlo, Signora Mia...
Gli schiamazzi di Renzi, Grillo e Silvio riempiono il buio di un assordante frastuono, una comunicazione fondata sul chiasso e non sul messaggio, una comunicazione massiva, piena di informazioni, di contrasti, di elementi simili, ma priva di un contenuto "univoco" e riconoscibile, un concetto che in semiotica si chiama "rumore".
La danza che ci fanno danzare è uno sconclusionato sistema di passi scoordinati, utile a far passare il tempo mentre altri consumano le nostre prospettive.
Forse dobbiamo continuare a provarci: fare cultura, ognuno nel suo piccolo. Criticare, proporre, costruire. Riscoprire il gusto e la necessità del dialogo.
Magari non servirà, e un giorno scopriremo di non aver ottenuto grandi risultati... Ma almeno potremo dire a noi stessi di averci provato. 

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